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Come diventare giornalista pubblicista

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Molti italiani, persuasi a ragione di vivere nel paese con la lingua più ricca del mondo, ritengono solo per questo (e per aver svogliatamente studiato grammatica a scuola), di saperla padroneggiare al meglio. Tale opinione, unita al naturale desiderio di esprimersi, porta al proliferare di migliaia di scrittori in erba. Il passo successivo, qualora si volesse trasformare l’hobby in professione, dipende dal tipo di scrittura al quale si è più vicini: scartata la poesia, notoriamente avara di soddisfazioni economiche, rimangono la scrittura creativa e, soprattutto, il giornalismo, forse perché riconosciuto come un mestiere socialmente appagante. Il problema è che al contrario, ad esempio, della pittura - dove ci si rende immediatamente conto di aver partorito uno sgorbio –, gli scrittori credono pervicacemente nel valore del proprio genio comunicativo, tanto da ritenere che esso basti da solo per superare la mancanza di una raccomandazione. Errore. Innanzi tutto ci sono due tipi di giornalisti, i professionisti e i pubblicisti, i quali differiscono tra loro se esercitano la professione in modo "esclusivo e continuativo" (i primi) o meno. A grandi linee, per diventare pubblicista in Molise occorre presentare all’Ordine dei giornalisti copia di 70 articoli redatti nell’arco di due anni e regolarmente retribuiti dai giornali sui quali si scrive. La semplicità del sistema spinge orde di aspiranti a tentare la sorte, tanto più che nel frattempo – e anche dopo – si può fare altro. Se un parente o un amico fa il giornalista non ci sono problemi ovviamente, siamo in Italia. Un grosso editore molisano, durante un colloquio, si vantava di non avere quasi nessuno dei suoi giornalisti iscritti all’Albo e alcuni nemmeno diplomati. Tutti i suoi collaboratori li aveva assunti per chiamata diretta quindi la redazione era (è!) una specie di famiglia allargata, coi parenti in prima fila. Se non hai santi in paradiso invece bisogna farsi sfruttare un paio d’anni e pagarsi pure i contributi di tasca propria, facendo risultare che invece si è stati regolarmente remunerati, per poi ottenere finalmente l’agognato tesserino e incorniciarlo, dato che vi servirà, saltuariamente, solo per entrare gratis in qualche museo convenzionato. Concerti nemmeno a pensarci. Le redazioni piccole cercano gli aspiranti poiché possono pagarli meno, quelle grandi i professionisti con esperienza, ma sullo sfondo aleggia il concetto che il giornalismo sia uno dei mestieri più permeati dalle raccomandazioni e dalle conoscenze in Italia. Un consiglio cinematografico per capire meglio: “C’è chi dice no” con Luca Argentero e Paola Cortellesi.
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