Non è facile trovarsi dalla parte sbagliata della barricata. In Italia, unico tra i Paesi ad alta industrializzazione, vige una regola non scritta che ha creato un sistema clientelare e perverso per il quale la meritocrazia non esiste: tra due candidati si sceglierà, sempre e comunque, quello “segnalato” quando non addirittura raccomandato. Roger Abravanel è un famoso economista, consulente del MIUR, che ha scritto un libro sull’argomento intitolato, per l’appunto, “Meritocrazia”, nel quale brillantemente illustra i vantaggi per il sistema-Paese di un mercato del lavoro basato sul valore e non sulle raccomandazioni. Come si possa scrivere un libro del genere e contemporaneamente collaborare con il Ministero retto dalla Gelmini questo è un dilemma che magari spiegherà in un prossimo volume, ma tant’è!
La sostanza è che se non si è raccomandati, spesso (sempre) ci si vedrà superati in graduatoria da personaggi più o meno competenti, secondo un principio derivante non da regole condivise ma da pura casualità. Se i posti assegnati sono sufficienti ad inserire sia il candidato raccomandato (prima) che quello valido (dopo), l’azienda o l’ente bilancerà la probabile incompetenza del primo con la capacità del secondo il quale, naturalmente, dovrà sobbarcarsi il peso del lavoro di entrambi. Se invece, come spesso accade, il numero dei posti da assegnare basta per i soli “amici di”, allora il sistema produttivo avrà fatto un altro piccolo passo verso il baratro dell’incapacità. Le conseguenze sono tutt’altro che trascurabili sia a livello collettivo – perché impoverisce il know-how e instrada il Paese verso pericolose derive tipo quelle della Grecia, dove la corruzione raggiungeva livelli altissimi, più o meno quanto i nostri – sia a livello individuale – frustrando le legittime aspirazioni di individui preparati che vogliono solo dimostrare il proprio valore su un mercato cosiddetto libero, liberale e liberista.
All’Università del Molise il rinnovo di alcuni contratti annuali di professori associati pare funzioni in questo modo: si stila un bando di concorso secondo il quale chi ha già insegnato quella materia in passato nella facoltà di riferimento ha un punteggio superiore; va da sé che più passano gli anni più lo (stesso) professore acquisirà punteggio e se un giovane ispira all’insegnamento arriverà inevitabilmente secondo, non avendo conseguito il punteggio per l’insegnamento negli anni precedenti. Tutto regolare da un punto di vista formale, ma da un punto di vista meritocratico ed etico? La prassi del bando di concorso calato su misura per un certo candidato meriterà comunque un approfondimento in futuro.
Tornando all’Università, ecco ancora una bizzarra norma “spazzaconcorrenza”, per la quale il famoso professore vincitore del concorso può scegliersi non solo la sede (mettiamo, ad esempio, Campobasso o Termoli) ma ha facoltà di accaparrarsi tutte le ore disponibili in entrambe le città, mentre si lascia al suo buon cuore la possibilità di “elargire” alcune ore al secondo classificato. Anche qui il corollario è evidente: se il vincitore sceglie di usufruire di tutte le ore disponibili lasciando le briciole al secondo classificato, l’anno successivo, in sede di concorso, quale dei due avrà maturato un punteggio maggiore? E chi risulterà nuovamente primo in graduatoria?
Finché vigerà un sistema alterato nei suoi meccanismi di base da furberie e segnalazioni, ci sarà da mandar giù bocconi amari per coloro i quali (la maggioranza degli italiani) non fanno parte di questa “categoria protetta” e che saranno – come si dice – cornuti (superati in graduatoria da incompetenti raccomandati) e mazziati (magari definiti, da un’“eminenza grigia” della Repubblica, “la parte peggiore dell’Italia”).