Ci sono anche due molisani coinvolti nell’ordinanza firmata dal gip del Tribunale di Frosinone nell’ambito della maxi operazione di Squadra Mobile e Guardia di Finanza ciociare che ha portato a sgominare un’associazione a delinquere finalizza principalmente al riciclaggio, all’intestazione fittizia di beni e alla commissione di reati tributari attraverso la costituzione di società cartiere, operante in tutta Italia.
I due sono il 56enne di Cercemaggiore, M.T., imprenditore impegnato nel settore delle forniture di materiale edile, finito agli arresti domiciliari, e un 40enne che vive a Campobasso, G.T., raggiunto da una misura interdittiva.Il primo è famoso anche come campione di rally.
Tutti e due nel sodalizio ciociaro avevano un ruolo attivo e di primo piano. Polizia e finanza hanno inoltre eseguito inoltre un sequestro preventivo a carico di una società operante nel capoluogo e con un fatturato che supera circa i 100mila euro annui.
L’organizzazione era composta secondo gli inquirenti da un commercialista ciociaro, imprenditori e legali rappresentanti di società del centro e nord Italia, e varie “teste di legno”. L’attenzione degli investigatori si è concentrata sull’analisi del flusso finanziario di due conti correnti postali che nell’arco di dieci mesi sono stati caratterizzati da una movimentazione di circa due milioni di euro, a seguito di una serie di bonifici effettuati da numerose società dislocate su tutto il territorio nazionale. I sodali mediante la costituzione di società “cartiere” create ad hoc, attraverso le quali si producevano fatture false per giustificare le ingenti movimentazioni di denaro, hanno distratto grosse somme che venivano poi prelevate in contanti presso alcuni uffici postali delle province di Frosinone e Roma, per poi rientrare nella disponibilità dei promotori del sodalizio attraverso appositi corrieri.
In questo modo si consentiva alle società reali di stornare dagli utili le somme di denaro corrispondenti ai pagamenti delle fatture emesse dalla “cartiera” per le prestazioni inesistenti ed evadere così le imposte relative, oltre a permettere l’alimentazione di fondi neri di denaro liquido, formati dalle somme restituite a seguito dei bonifici. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, il compenso trattenuto sul fatturato per il “favore” reso era del 13%.